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Introduzione: L’incidente di Torre del Greco
Nell’alba malata di un giorno di inizio dicembre, la
cittadina di Torre del Greco, un brandello di terra
stretto tra il Vesuvio e il mare, aveva conosciuto il
proprio olocausto nucleare. Due caccia Eurofighter
dell’esercito italiano avevano partorito nella luce incerta dell’aurora due ordigni atomici da 10000 kilotoni l’uno, in rapida sequenza. Due esplosioni violentissime e ravvicinate provocarono un’ecatombe. Secondo una stima del governo italiano, nello scoppio perirono circa centomila persone.
La deflagrazione, abbagliante di lampi radioattivi,
aveva interessato una zona molto vasta, ben oltre i
confini del territorio comunale di Torre del Greco. Il
fiero e svettante cono del Vesuvio mutò d’aspetto nel
giro di pochi maledetti secondi.
Le autorità, dopo un lungo conciliabolo, avevano
stabilito di radere al suolo la città per rispondere
all’emergenza causata dalla diffusione incontrollabile
di un virus, creato in laboratorio da uno scienziato torrese, il dottor Ignazio Panariello.
Questi lo aveva denominato “Immortal Virus”, o
più semplicemente “Virus I”.
Lo scienziato aveva ricavato il virus dal fiore di una
pianta rara endemica dell’America Latina, la Guanabana. L’agente virale causava mutazioni genetiche nel
corpo dell’ospite, generando un incremento
dell’aggressività e della capacità del cervello di assumere dopamina, rendendo l’individuo infetto ultrasensibile agli stimoli esterni. Si trattava di un virus a bassa contagiosità, che per trasmettersi aveva bisogno del
contatto sangue-sangue o saliva-sangue, oppure di
rapporti sessuali non protetti.
Una volta entrato nel circolo sanguigno dell’ospite
non infetto, ricercava alcune particolari cellule in cui
riprodursi. Entrato nella cellula, sostituiva il DNA
dell’ospite con il proprio, alterando le funzioni della
cellula. Il virus veniva espulso dalla cellula per gemmazione e immesso nel sistema circolatorio.
Tra le numerose proprietà del virus, figurava la capacità di distinguere le cellule sane da quelle tumorali,
di eliminare solo queste ultime (mentre in chemioterapia vengono annientate entrambe in maniera indiscriminata), e di favorire la neuro genesi, ovvero la rinascita delle cellule morte del cervello.
Per incrementare l’efficacia del Virus I nella lotta
alle neoplasie, il dottor Panariello aveva combinato la
versione originale con il DNA di una specie di scorpioni cannibali, brevettando la Versione 02.
Il risultato era stato nefasto. I soggetti infettati dal
Virus I, infatti, mostravano una marcata inclinazione
verso il cannibalismo.